SUL PROGRESSO

Negli anni del boom economico, subito dopo la seconda guerra mondiale, c'è stata una parola a dominar la scena, una parola che inglobava  le speranze e i sogni dell'epoca: "progresso". In nome di esso tutto poteva essere sacrificato e forte era l'esigenza di sviluppo in tutti i campi ma senza avere  idee chiare sul come e sul perchè. Il nuovo mito era nato applicando in modo erroneo la teoria evoluzionistica darwiniana al sociale. Il modello occidentale della competizione si riteneva così scientificamente fondato: il mondo evolve attraverso la lotta degli individui per portare avanti i propri geni, solo i più adatti all'ambiente e i più forti sopravvivono. La gara si allargò così tra le imprese, tra i privati alla conquista del mercato. Prodotti e tecnologie sempre più innovative e il tutto da consumare famelicamente. La gente è la materia prima, è quella che consuma e quella che produce, quindi bisognava tener conto di questi due fattori potenzialmente conflittuali per far girare il sistema, qualsiasi esso fosse stato.  Il vincente in questa lotta era quello che ne usciva con più dollari e con essi, si può comprare qualsiasi cosa, dettar legge su tutti. Che poi poche  persone possano concedersi ogni lusso e capriccio ed una maggioranza viva di stenti e muoia di fame poco importa a chi ormai ha seppellito la sua anima.

Ma guardandoci attorno troveremo  gli effetti materiali di questo "progresso". In realtà l'unico miglioramento possibile (o progresso) è stato quello tecnologico. Dalla carta e dalla penna alla macchina da scrivere al computer, dal carro tirato dai cavalli all'automobile, dal farmaco direttamente preso dall'albero a quello sintetico...Ma c'è stata forse una evoluzione umana? Si vive di più , è un dato di fatto, ma si è sicuri che l'intensità, la durata del tempo di un Raffaello, di un Schopin di un Lauwrence (morti giovani ma con un'attivita intensissima) sia inferiore a quella di un vecchio centenario che ha passato metà della vita in officina, l'altra in un bar e adesso è abbandonato in un ospizio perchè ormai improduttivo? Il progresso e il consumismo che dà felicità si scontra con dati  contradditori : aumentano in tutti i paesi ricchi le depressioni, i suicidi.

Se la qualità umana certamente non è migliorata è' aumentata la quantità : ogni anno si aggiungono 80 milioni di persone affamate ai sei miliardi e mezzo che già ci sono in un pianeta sempre più sterile nell'humus e nella biodiversità,  sempre più avvelenato dagli effetti secondari del progresso. Necessariamente l'aumento quantitativo della specie umana si ripercuote sull'ambiente in modo distruttivo ma si può sempre pensare ottimisticamente che ci sarà una svolta, che prima o poi l'aumento della popolazione si sfogherà su altri pianeti e che la tecnologia rimedierà ai danni da lei stessa prodotti (o meglio: è l'uso della tecnologia che ha compiuto danni non la tecnologia in se stessa, dal nucleare al chimico). Ci saranno pillole che faranno guarire immediatamente dalle depressioni e malinconie. Tutto e subito e senza sforzo (l'illusione infantile) promette il progresso. Insomma fa sempre piacere pensare che alla fine vivranno tutti felici e contenti .

Ma se così non fosse e la specie umana finisse come coronamento del suo ideale di progresso, cosa cambierebbe? Siamo tanto abituati a vedere le cose nell'ottica della storia umana che ci siamo dimenticati della realtà. L'universo continuerebbe ad accendere miliardi di nuove stelle e a spegnerne altrettante come ha sempre fatto, nessuno sentirebbe la mancanza dell'uomo e della terra,  e su qualche pianeta di qualche galassia inizierebbe di nuovo l'avventura della vita e della consapevolezza, ma forse la fucina è ben più attiva e feconda di quanto si immagini. Con una intuizione da alchimista islamico un filosofo tedesco, Schelling, considerò la natura come spirito coagulato e lo spirito come natura sciolta. Tutto dovunque è sempre pronto per fiorire che il giardiniere sa il fatto suo, direbbe un sufi e dalle erbacce si farà concime. 

Per l'Islam il progresso è un mito moderno come è un mito, ma antico, quello della regressione cosmica amato dai tradizionalisti. Tra i due opposti, l'uno proiettato nel futuro e l'altro ripiegato  nel passato va ritrovato il senso. Certo è che siamo troppo impegnati a dar valore al corporeo, al materiale come se fosse tutto, quando è solo un aspetto della realtà. Abbiamo fatto un monumento al progresso dimenticando l'uomo, ormai identificato nel suo giocattolo. Leggendo le opere di uno dei più eccelsi poeti dell'umanità. J.Rumi ci si rivela un mondo immenso, divino  in cui l'uomo è solo una parte, un attore momentaneo. Il teatro è ben più vasto di quello in cui inconsapevolmente l'uomo recita (la politica, l'economia, la tecnologia). C'è bisogno invece di evoluzione (quella vista da Darwin è solo una parte meccanica) diceva Rumi secoli or sono ma con un timbro che si sintonizza con l'eternità: ci siamo evoluti dalla materia e siamo diventati vegetali, da vegetali ad animali, da animali ad umani dimenticando via via la natura precedente (che pur è rimasta geneticamente e neurologicamente stratificata in noi, diremmo oggi) e cambieremo ancora diventando angeli...E chi si ricorderà più delle guerre in nome della religione, della razza, del progresso che ha fatto la specie umana? Eppure i semi di questa evoluzione si vedevano già nell'arte, nel civismo, nella fede, chi ci ha creduto non è passato invano.

 

N.Nurettin 

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