http://www.amazon.com/dp/B00AMOKLZ8

Edizione online DISPONIBILE del saggio di Nazzareno Venturi sulla psicologia transazionale, pubblicato e ormai esaurito su carta stampata dalle ed.Sufijerrahi nel 2010. Il testo spiega non soltanto il transazionalismo ma situazioni ad esso correlate dal senso di colpa alla paranoia con un linguaggio libero da inutili tecnicismi.

 

(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio, essendo provenienti da pubblicazioni copyright, può essere fatta solo tramite autorizzazione )

 

Parzialmente tratto da "Rapportarsi con gli altri e con se stessi" di Nazzareno Venturi

 

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Il regno di quelli che furono prima di voi finì unicamente perchè, presso di loro, se un personaggio eminente rubava, lo lasciavano tranquillo; e se un poveraccio rubava, gli applicavano la pena stabilita da Dio. Giuro col giuramento più solenne: se mia figlia Fatima rubasse, io stesso le taglierei la mano.Maometto ( Bukhari, LX,50 (11)

“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza" (Dante Alighieri, Inferno canto XXVI, 116120)

 

 

 

MAFIA E DEVIANZE PSICHICHE

Parzialmente tratto da "Rapportarsi con gli altri e con se stessi" di Nazzareno Venturi

L'abbinamento mafia e follia non è nuovo, diversi studi di carattere psichiatrico reperibili anche via internet (1) hanno individuato costanti di psicopatia e di forme paranoidi  nel comportamento mafioso. Dire che esso  devia dal senso civico e sociale e da un sano rapportarsi col mondo ha dell'ovvio, ma tutte le cose ovvie senza consapevolezza diventano banali e sciocche.

L'identificazione della normalità in senso psicologico non equivale al comportamento della maggioranza. Bisognerebbe quindi domandarsi se il concetto di civismo quale è vissuto oggi in una società occidentale e democratica sia il parametro giusto per distinguere le devianze comportamentali. Soprattutto: cosa intendiamo per civismo? Anche le strutture sociali che hanno permesso nel secolo scorso i più abominevoli delitti sia nei fascismi, nei comunismi, nei capitalismi avevano le loro regole da rispettare ed il loro concetto di civismo. La follia di un leader può estendersi e diventare norma sociale, come nel caso di Hitler (2), poco importa qui analizzare le concause storiche ed economiche moventi la situazione, importante è considerare la ripetibilità del fenomeno: accade che la posizione di privilegio ottenuta da una parte sociale rispetto ai più (la classe sacerdotale, militare, economicamente più potente) spinga questa a dettare regole coercitive per mantenere i vantaggi acquisiti, a compiere delitti "legalizzati" per sbarazzarsi di ogni atto di consapevolezza e di denuncia nei loro confronti. In questo modo la "devianza" combattuta ( quasi sempre  minoritaria: i più seguono "l'aria che tira" o meglio il condizionamento del branco )  può rappresentare invece la parte psicologicamente sana della società. Diversi scienziati e filosofi nel medioevo cristiano erano perseguitati poiché cercavano la verità indipendentemente dal tramandato e dall'autorità, come è giusto che sia, ed è anche da essi, dalla laicità di questo libero pensiero, che si sono sviluppati i concetti oggi comunemente accettati  come sinonimo di civismo quali la tolleranza, il rispetto, la libera ricerca.  E ancora: una donna combatte in seno alla sua società tribale la pratica dell'infibulazione o della clitoridectomia, una legittima battaglia diremmo noi, ma per il suo gruppo  rappresenta un pericolo sociale, una "devianza" da eliminare. La tradizione consolidata ed il potere che la mantiene, quanto si pone indiscutibilmente in alto, non accettano sgarri, eppure psicologicamente la parte sana della società, siamo tutti d’accordo, sta in quella donna emarginata; se noi fossimo nati in quella struttura saremmo quasi tutti dalla parte malata ad inveire chi è contro la regola costituita, contro quella povera donna che adesso difendiamo.

Considerare tout-court dunque il mafioso come un malato di mente è troppo facile per chi è abituato a convivere con altre regole. La mafia (come ogni tessuto criminoso) ha una sua storia, una sua tradizione, delle leggi d’onore, per quanto facciano sorridere, una struttura che vive all'interno di un apparato sociale più grande (lo Stato) in modo parassitario, ossia prende forza dalla ricchezza dell'altro, talvolta i due sistemi convivono ed interagiscono nella gestione dello stesso potere, altre volte si combattono. Il mafioso, fin da piccolo, vive in questa struttura e impara i modelli costituenti la sua normalità; che poi questi modelli comportamentali siano dannosi per sé e per gli altri non gli passa minimamente per la testa, anzi troverà solo rinforzi psicologici positivi, vantaggi in termini di prestigio, ricchezza e potere: alla fine sarà normale  per lui far ammazzare chiunque ostacoli questo suo fine. Nella storia dei popoli , in piena luce, abbiamo visto e continuiamo a vedere comportamenti del genere.

In un certo senso la società amplifica quanto succede in ogni individuo. Gli esseri umani  lottano per dominare la propria bestialità prevaricatrice (da non intendersi nella sana espressione sessuale e vitale), quella manifestata nei primi comportamenti sociali in atti di prepotenza sugli altri, di egocentrismo. Questa conflittualità si risolve accettando dei limiti, delle regole, quelle a cui si è stati educati.

In natura, ogni individuo, cerca subito di imporsi nel branco e mette in atto inconsapevolmente il meccanismo animale di selezione naturale. In una numerosa cucciolata ciucceranno dai capezzoli della madre solo i più forti, così in una nidiata apriranno il becco e le aluccie, per farsi largo,  i più robusti, i primi ad esser usciti dall’uovo.  Così un uomo. Privato di cultura e di una riflessione intelligente altro non conosce se non l’istinto di affermazione, gli obiettivi più elevati e gratificanti di una persona evoluta gli sono ignoti. La spinta genetica inconscia, è questa: se ce la faccio mi impongo nella mia specie e perpetuerò  i miei geni, se non ce la faccio mi rassegnerò in un ruolo che mi garantisca la sopravvivenza. Se l'uomo fosse solo una bestia sarebbe tutto normale, ma esso ha sviluppato insieme alla cultura il senso del civismo, vuoi pure inteso come una trasposizione intellettuale sofisticata dell'istinto di branco e delle sue regole ancestrali. Teniamo anche conto, infatti, dell’istinto sociale a collaborare, a scambiare l’emotività con gli altri, indispensabile per l’essere umano, esso è così forte di per sé da limitare  quello dell’affermazione individuale.

Il civismo è un impulso  nobile che con l'arte e la fede (non la credenza e la religione che sono la sua burocratizzazione) definisce l'uomo in quanto tale. (3) Egli  ha la consapevolezza di far parte di un insieme,  la sua specie e che questa dipende da una vita più grande che lo circonda e lo nutre. Per questo, nelle civiltà tribali e in tutte quelle antiche, la vita era rispettata come sacra: dagli altri animali agli alberi, la natura tutta era sentita come parte di sé, la realtà non era ancora un concetto astratto ma calata nel vissuto corporeo, odorata, gustata, toccata, ascoltata, vista, in una ricchezza continua di emozioni. L'individuo si sentiva integrato  nel proprio ambiente,  nell'archetipo dell'albero della vita.

 L'aspetto aggressivo per piegare le cose a se stessi  e ottenere soddisfazioni è legittimo nel rispetto altrui, ma se fatto nel prevaricatorio culto di sè (che costituisce l'aspetto paranoico-infantile di ciascuno ) obnubila la consapevolezza istintiva e civica  di essere parti di un insieme naturale e culturale. La consapevolezza che il mio dolore è anche quello dell'altro, che è più ragionevole lenirlo piuttosto che procurarlo, ha creato sistemi di convivenza e interesse reciproco. Ognuno può far del male , io agli altri e gli altri a me:  quindi è meglio evitarlo alla radice. Questo equilibrio però è sempre stato rimesso in discussione da quelle spinte bestiali, infantili, paranoiche appunto, che ogni individuo si porta dentro. Quando queste diventano dominanti a livello sociale assistiamo a comportamenti distruttivi nei confronti della vita e della cultura. La consapevolezza umana della negatività di questo agire dannoso per la propria sopravvivenza,  si nota dal fatto che nessun popolo tende ad ammettere di essere stato complice di  genocidi e terrorismi, ma a giustificare i propri comportamenti. Insomma c’è una coscienza inscritta nell’uomo, vuoi frutto di tutta una evoluzione, vuoi scritta da una mano divina (o tutte e due le cose insieme come credo) che sembra andare oltre l’educazione. Ma non ci si può far troppo affidamento, il buon selvaggio di Rousseau o ancor prima di Ibn Tufail non funziona. Senza regole sane e una educazione intelligente il meglio dell’uomo non sboccia.

Il cosiddetto  progresso dell'uomo bianco ha comportato avanzamenti tecnologici, scientifici e riflessioni filosofiche di tutto rispetto ma quell'equilibrio tra natura e cultura è sempre da ricercare e trovare. Fa parte del dinamismo della vita, essendo tutto in movimento anche il baricentro si sposta, per cui ogni volta va recuperato. Così nell’individuo così nella società.

Nella sua semplicità (senza per questo rimpiangerla) una comunità con uno stile arcaico di vita, vuoi indios o aborigena, possedeva più consapevolezza del proprio posto nella natura di quella di un “uomo civilizzato”, intento a distruggere e avvelenare il suo ambiente per profitto come se, finito il suo ambiente, non dovesse morire pure lui. Dimenticata la totalità c'è solo la spinta egoistica di sopraffazione, di utilizzazione degli altri, della natura e delle cose. L'uomo ha finito  per inventare ideologie folli per esaltare quell'aspetto bestiale, di autoaffermazione oltre ogni equilibrio e principio di realtà, ha pensato che Dio in realtà fosse lui stesso, manifestatosi nella sua storia, nei suoi grandi uomini (si veda gli idealismi e le loro applicazioni in Germania ed in Italia anni 40). Insomma ha giustificato il suo bambino onnipotente, la sua paranoia.

La società dunque ripropone il conflitto presente in ogni persona, da una parte una pulsione di sopraffazione dall'altra il principio utile di realtà ovvero l’attenzione per i reciproci interessi affettivi e materiali, la benevolenza a costruire insieme senza paraocchi ideologici e tradizionali quanto può diventare un bene comune per la vita su questa terra per sè e per le generazioni future. Ogni prevaricazione individuale finisce per essere distruttiva, poiché fa dimenticare i limiti in cui è posto l'individuo e la sua specie. Spinto dal desiderio genetico all'immortalità (il fine dei geni è di perpetuarsi servendosi della accidentalità di un corpo) l'individuo ne diventa schiavo: successo, potere e gloria sono stimoli falsificanti il senso della realtà. Nel  vissuto narcisistico l’uomo perde i suoi confini, anziché evolvere in conoscenza e  saggezza cerca il mito della sua grandezza per passare alla storia (a livello biologico la dominanza serve solo per procreare di più ma l'uomo vivendola in modo narcisistico ne altera l'impulso originario fantasticando sulla  sua importanza nel mondo,  addirittura, il primo imperatore cinese, morì in seguito ad un avvelenamento da mercurio, sostanza capace, così gli hanno fatto credere i suoi alchimisti, di garantirgli l’immortalità fisica).  Tutto finisce con un altro “asino” sacrificato sull'altare da un inconscio desiderio vitale di  perpetuarsi e diffondersi a qualunque costo.

Il culto della personalità è sempre un fatto nevrotico o psicotico: il classico matto delle barzellette si identifica con Napoleone, comunque con un “grande”.  Dietro le figure che hanno cercato e anche ottenuto l’illusoria grandezza, da Nerone a Caligola, da Hitler a Stalin ci sono storie di profondi traumi e di estrema fragilità psicologica. Anche dallo studio criminologico, dai terroristi politici, stragisti, killer e capi di organizzazioni mafiose, emergono quadri psicologici simili, persone  “corrazzate” da atteggiamenti di superiorità e di cinismo ma da un io bambino negato e a volte disperato. Nella fattispecie del mafioso la dipendenza verso la mamma assume spesso tratti parossistici mentre le altre donne sono viste come prostitute. Uno scambio adulto, affettivo, sincero e rispettoso con gli altri (del proprio e dell’altro sesso) per queste persone è difficile da realizzare. I rapporti sono visti in modo gerarchico, dall’alto verso il basso o viceversa, secondo il vecchio schema del branco animale: l’offesa per le bestie è mettere in discussione la gerarchia, perfino con lo sguardo. Ciò non significa che questi capi non siano dotati di carisma, anzi amano le folle o il loro gruppo e sono contraccambiati. Il loro bisogno di conferma di avere un potere sulle masse o sulla loro cerchia, li porta a essere affabulatori e seduttori abilissimi, promettono e mentono in modo sistematico, spesso con un sorriso cronicizzato sul loro volto, ma la loro apparente umanità nasconde un cinismo calcolatore, in realtà si servono del prossimo in cui non riconoscono più “persone” reali, ma individui da utilizzare. Il non aver accesso all’intimità del proprio essere li porta a cercare di riempire la vita con svaghi, giochi, festini in posti lussuosi circondati da gente servile, opportunista ed arrivista. Il senso di solitudine è per loro spesso insopportabile. Se cercano emozioni con le prostitute fingendo a se stessi di conquistarle e scambiare intimità, è per via dell’impotenza a vivere storie vere, ad avventurarsi in sentimenti e riflessioni fuori dagli schemi comuni. Il nemico per loro è chi mette in discussione la loro invadenza, il loro potere, per cui si adoperano a zittirlo in tutti i modi. Evitano ogni tipo di contraddittorio poiché il rapporto alla pari, da adulto ad adulto, è deficitario nella loro struttura neurolinguistica. Se un’altra persona ha idee diverse necessariamente è uno che gli vuol fare del male, gli vuole sottrarre il potere coi suoi giocattoli. Probabilmente in questo quadro ognuno di noi ha anche individuato tratti comuni a figure della propria esperienza, qualche capufficio e direttore, e se lo riconosce anche in se stesso significa che non è matto ( il quale mai si metterà in discussione accettando i propri lati negativi).

Dove c’è potere c’è avere. L’elefante marino lotta con gli altri maschi per avere la sua spiaggia con le sue femmine, per avere la sua discendenza. Questa è la sua ricchezza. Ma le lotte lo sfiniscono. Si voglia o no, il meccanismo della competizione e dell’ambizione sociale umana ha la stessa radice biologica. Ma l’uomo è anche cultura, capacità di spostare il bisogno di avere all’essere, non essere qualcuno, ma vivere intensamente la propria vita, cercare, amare, capire. La vita degli animali finalizzata com’è ad avere qualcosa sotto i denti, un territorio e una prole è stancante e in fondo sempre la stessa da centinaia di milioni di anni. Se l’educazione punta sull’avere è frustrante: bisogna sempre avere qualcosa per essere felici, bisogna sempre dimostrare di essere qualcuno. Questa è la triste logica del consumismo, triste perché non funziona. Non a caso la depressione è un fenomeno comune in quelle società che puntano sull'arrivismo individuale. Per emergere ci si stacca emotivamente dagli altri, dalla totalità della vita perdendo l'energia, la carica degli stimoli che essa sola può dare. (4)

All'opposto di un atteggiamento egocentrico, la capacità di amare, di fare, di mettersi in gioco con gli altri né per seguirli né per prevaricarli ma per lavorare insieme. Il potere personale è solo di chi non lo esercita per dominare ( un sottomesso non scambia pensieri ed emozioni autentiche e quindi non favorisce neppure un caricarsi energetico vicendovole). Se c’è civismo ossia cose buone e giuste a vantaggio di tutti nel rispetto di tutti, c’è anche senso della bellezza e della fede nella vita e nel suo senso, quel che alcuni chiamano Dio. Piacere di vivere. L' esistenza  si trasforma riponendo l'individuo nel suo limite terreno, ma aprendolo alla ricchezza infinita dello spirito. E' un ribaltamento psicologico che Jung considera il fine  di ogni uomo ma  poche volte  il processo di trasformazione va a termine. Viene in mente il : "Molti sono i chiamati ma pochi gli eletti" o il "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti" del Vangelo, o ancora il "Fare uscire il morto dal vivo ed il vivo dal morto" del Corano. 

A livello psicopedagogico è di estrema importanza onorare sinceramente (soprattutto nelle scuole)  quelle figure che si sono distinte in ogni civiltà per  la scienza, per i diritti umani, nell'arte e nella giustizia. Viceversa bisognerebbe parlare di meno e con la dovuta criticità di quei  balordi e gabba popolo che hanno dominato le nazioni e scatenato delle guerre. Troppa storia di conflitti e poca di civiltà. Questo perchè i modelli sono indispensabili nella crescita umana, gli esempi dimostrano come l'uomo possa essere meraviglioso e non solo una bestia arrogante. La legalità deve funzionare per evitare da una parte che i prevaricatori abbiano la meglio e dall'altra ribellioni caotiche e vendette fai-da-te.

Nessuno, proprio nessuno vorrebbe andare di proposito in galera o in un ospedale psichiatrico. E' normale che chiunque cerchi di difendersi in tutti i modi e di farsi spalleggiare dai suoi amici. E ognuno di costoro adotta la sua strategia per sfuggire alla condanna, più potere ha e più si farà sentire cercando di convincere gli altri di essere perseguitato. Da questo punto di vista il detto "la giustizia è uguale per tutti" ha le sue crepe in quanto chi ha soldi e cariche riesce perlomeno a sfidare la giustizia facendo la voce grossa. Uno squattrinato non avrebbe voce. Chi ha soldi e potere certamente avrà una schiera di gente che lo segue e sostiene, qualunque cosa abbia fatto e faccia.  E' l'istinto di sopravvivenza a dare la forza a chi si sente perseguitato ( giustamente o ingiustamente) di combattere chi ovviamente sente come un persecutore quando nella grande maggioranza dei casi quest'ultimo non fa che applicare delle norme. E' vero che ci sono leggi che aiutano il crimine o permettono di aggirare i crimini o addirittura che sono state fatte leggi criminali come quelle razziali, ma in una democrazia, in genere, le leggi cercano di non promuovere i reati contro il prossimo e la collettività. Viviamo in un'epoca di relativismo del bene e del male ma se non si creano delle ragionevoli distinzioni è il caos per tutti.  Se  per il criminale sono cattivi coloro che difendono la giustizia, così come per lo psicotico è fuori di testa lo psichiatra, non per questo si può mettere tutti sullo stesso livello (anche se ognuno deve essere ascoltato e capito). Il buon senso, se c'è un pò di onestà e voglia di verità in sè, trova il modo far chiarezza e ridare una coscienza collettiva ad un mondo dove nessuno si sente dalla parte dell'errore e nessuno vuole pagare per i suoi torti. Questa coscienza è una necessità, una questione di vita o di morte in quanto se un criminale, o peggio un folle criminale, come non di rado è accaduto nella storia, prende il potere assoluto, sono guai per tutte le persone equilibrate e oneste.

Il boss mafioso riproduce quindi un fenomeno di squilibrio, di negatività  interno alla specie umana o, più semplicemente, evidenzia un processo interrotto e deviato di maturazione individuale e sociale.  Caratterizzare in qualcuno o in categorie   il "mostro incivile" può risultare comodo, per sentirsi tra i benpensanti, ma non solleva dalla responsabilità di esserne in fondo complici quando simili comportamenti ( in noi e in chi amministra) vengono lasciati passare con troppo disinvoltura. Ed è così che i criminali della società e della storia condannati da una parte, passano pure, come dei buoni padri di famiglia o degli esempi a modello delle generazioni venture. Dai modelli di oggi si prepara ciò che succederà nel futuro.

 

1) vedi tra gli altri lo studio del dr Lo Coco e la bibliografia  pubblicata anche sul web http://www.pol-it.org/ital/mafia.htm

2) cfr. A Vallejo "Hitler" in "Pazzi celebri" ed. Mondadori. A latere, lo studio su Van Gogh è invece viziato da informazioni inesatte.

3) La cultura, la scienza, la stessa intelligenza poggiano sulle pulsioni terziarie. La fede, seppur limitata all'uomo e alle sue capacità, motiva la ricerca, dà un significato al proprio lavoro, all'indagine razionale e sperimentale. Il civismo dà il senso dell'utile e la responsabilità delle scelte giuste al proprio fare,  alla condivisione attenta dei beni e dei saperi. L'arte offre il gusto della scoperta, il piacere dell'osservazione e della sperimentazione.  Il lavoro di uno scienziato è mosso anche dalla attrazione, dalla bellezza dell'oggetto che studia. Anche ridare la salute grazie ad una nuova medicina è bellezza. Ci si dirà che uno scienziato può lavorare solo per i soldi e per la fama, ma questi stimoli esterni da soli sono insufficienti per portarlo a realizzazioni di successo. Forse lo scienziato pazzo in cerca di gloria e potere dei fumetti che finisce sempre per perdere rappresenta questo inconscio sentire. Insomma, senza l'apporto di queste pulsioni non c'è  scoperta, innovazione, evoluzione.

4)  A.Lowen ha dedicato uno studio validissimo sul narcisismo ( ed. Astrolabio) che mette in evidenza i rapporti tra  depressione narcisismo ed arrivismo.

dott. prof. Nazzareno Venturi

 

(ogni trascrizione in parte o completa dei saggi pubblicati sul caravanserraglio, spesso provenienti da pubblicazioni copyraght, può essere fatta solo tramite autorizzazione)

 

 

 

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