Lo I King e la sincronicità come principio

di nessi acausali

dott.Rossano Vitali

Ci sono molte più cose, sulla terra e sotto il cielo , o Amleto, di quante la tua scienza possa comprendere.

W.Schakspear

 

Questa tecnica cinese di divinazione, la cui origine si perde nella notte dei tempi, fu resa nota in Europa durante il ‘900 ad opera dello psicologo analitico C.G. Jung, il quale se ne interessò durante i suoi studi riguardanti il principio di sincronicità, principio quest’ultimo che egli spesso vedeva misteriosamente all’opera nella vita delle persone, e a volte giocare un ruolo anche all’interno di molti percorsi di analisi psicologica da lui personalmente condotti.

Questa relazione pertanto si articolerà su tre punti fondamentali.

Nel primo parlerò in particolare del principio di sincronicità, nel secondo punto tratterò della sua applicazione nella lettura dell’ I King, e nel terzo dirò quale interesse tale principio può rivestire per un sufi.

Ma, prima di cominciare, occorre voi sappiate qualcosa della figura di Jung. Identificato, in maniera secondo me un po’ riduttiva, come un allievo di Freud, in realtà ha una formazione indipendente da quella di quest’ultimo. Per vie diverse giungono ad avere le stesse intuizioni e a fare più o meno le stesse scoperte, che Freud riesce in qualche modo a sistematizzare prima e meglio, per cui si incontrano sviluppando un fecondo legame scientifico con complesse risonanze umane, ma poi giungono di nuovo a separarsi seguendo percorsi indipendenti.

Freud lavorava a Vienna e aveva dimestichezza soprattutto con pazienti nevrotici, Jung lavorava come primario psichiatra a Zurigo e si occupava di pazienti psicotici. Intuì che i temi dei deliri e delle allucinazioni degli psicotici potessero avere un significato, notò la straordinaria rassomiglianza che i contenuti delle produzioni artistiche degli psicotici avevano con i miti primordiali dell’ umanità cominciando a mettere le basi della sua futura scoperta dell’inconscio collettivo.

I due uomini, Freud e Jung avevano molte affinità ma anche radicali differenze di temperamento e di carattere.

Una di queste, non certo l’unica o la più importante, ma comunque significativa, era l’apertura a dimensioni transpersonali della coscienza e ad alcuni fenomeni ad esse connessi, come la telepatia, i sogni profetici, le visioni, e tutte le complesse manifestazioni ( quando non si tratti ovviamente di imbrogli) correlate allo spiritismo e all’occultismo.

Freud era completamente chiuso a queste dimensioni, che liquidava tutte come manifestazioni nevrotiche, ma lui stesso, come molti nevrotici, operava delle evidenti rimozioni. Ad esempio, nell’"Interpretazione dei sogni" narra il seguente episodio: in una famiglia muore un figlio di tenera età. La salma viene posta in una stanza chiusa. In un'altra stanza, anch’essa chiusa e senza comunicazioni con la precedente dorme il padre che nel corso della notte sogna il figlio che gli compare davanti dicendogli: "Non vedi che sto bruciando?" Il padre si sveglia di soprassalto, si reca nell’altra stanza e vede che una sigaretta lasciata inavvertitamente accesa da qualcuno sta cominciando a bruciare la salma del piccolo. Freud di questo sogno dà una interpretazione che ignora completamente la possibilità, l’ipotesi di aspetti telepatici.

Jung invece non ignorava l’esistenza di tali fenomeni e anzi ne era notevolmente incuriosito. La sua tesi di laurea portava il titolo di "Sulla psicogenesi dei cosiddetti fenomeni occulti". Occorre però fare una precisazione: Jung non era un mistico né tantomeno uno spiritista o un occultista. Era un uomo di scienza che da studioso e medico psicoterapeuta si accorge del verificarsi di tali episodi nella vita delle persone in generale e dei suoi pazienti in particolare, e cerca, nei limiti del possibile, di dare a questi episodi delle spiegazioni di tipo psicologico, senza la pretesa di volere tutto comprendere e tutto spiegare.

Uno dei fenomeni che più lo impressionava era il verificarsi di episodi di sincronicità.

Con tale termine si intende il verificarsi di una coincidenza significativa, apparentemente fortuita tra un fatto interno psichico e un fenomeno del mondo fenomenico esterno. Ad esempio: sognare una certa persona o semplicemente pensare ad essa e poi incontrarla.

Jung era impressionato dalla frequenza in cui tali fenomeni si manifestavano, soprattutto in pazienti in fasi critiche della loro vita, e aveva l’impressione che ci potesse essere qualcosa in più di una semplice combinazione statisticamente possibile.

Clamoroso ad esempio è il caso di un suo paziente. Questi era un ingegnere che basava e regolava la sua vita su basi esclusivamente razionali, escludendo completamente aspetti più emotivi o irrazionali. Un giorno fece un sogno estremamente complesso che qui non riporto ambientato nell’antico Egitto. Tale ambiente un po’misterioso ed oscuro era connesso proprio a questi elementi psichici che lui rimuoveva. Al centro del sogno stava la figura di un misterioso scarabeo d’oro, di cui si stava cercando di capire il significato. Ad un certo punto, ricordo che siamo in Svizzera e non all’Equatore, si sente un rumore sordo alla finestra, Jung va ad aprire e si accorge che una scarabeo d’oro era venuto a cozzare, proveniente da chissà dove, proprio lì dove due uomini stavano parlando di uno scarabeo.

Fenomeni misteriosi, elusivi, sfuggenti, che a noi rimangono ancora oggi inspiegabili, così come ai tempi di Jung. Ma una cosa è certa, sia a noi che a lui: tali fenomeni non solo sono inspiegabili, ma non dovrebbero neanche sussistere all’ interno di un modello di riferimento dell’universo di tipo cartesiano-newtoniano, fatto di oggetti separati e distinti,unicamente materiale e rigidamente suddiviso in materia (res extensa nella filosofia cartesiana) e spirito (res cogitans nella filosofia cartesiana) identificato quest’ ultimo unicamente con il pensiero.

Simili fenomeni, a meno che non li si voglia semplicemente ridurre a combinazioni statisticamente prevedibili, sono spiegabili da modelli che implicano una specie di "continuum" tra microcosmo e macrocosmo, con rispondenze tra i due, possibilità di entrare in risonanza non causale. E allora Jung focalizza la sua attenzione a campi del sapere e della cultura ove in qualche modo sia presente un tale modello di tipo olistico.

Trova una rispondenza, forse inattesa a prima vista, nel campo della fisica della materia. Nei primi anni del 900 scoperte inattese nel campo della fisica nucleare, che porteranno poi alla nascita della fisica quantistica, fanno emergere un modello di questo tipo. In particolare intrattiene una fitte corrispondenza con gli esponenti di questa nuova fisica, in particolare A. Einstein e W. Pauli.

Contemporaneamente si interessa al pensiero tradizionale e scrive tutta una serie di scritti sull’alchimia, all’interno della quale è centrale la possibilità di creare una risonanza tra modificazioni esterne della materia e modificazioni interne della psiche. E all’interno di questa riscoperta delle antiche concezioni sapienziali si interessa al pensiero cinese, all’interno della quale è centrale il concetto di "Tao", termine polisemico, aperto cioè a diverse interpretazioni, una delle quali potrebbe essere quello di armonia prestabilita, accordo tra interno e esterno. Centrale, in questa visione del cosmo, lo sforzo della natura umana di mettersi in risonanza, in armonia con la natura del cosmo. E proprio per realizzare tale possibilità di armonizzazione il pensiero cinese faceva ricorso alla lettura di tipo divinatorio dell’I King.

Il metodo di consultazione dell’I King vi è già stato spiegato dal prof. Mandel; da quello che entrambi vi abbiamo detto, ora siete in grado di comprendere come esso sia in un certo senso, ed è questo il motivo per cui Jung se ne interessava, un metodo di "provocazione", di "richiamo", di "sollecitazione", metto i termini tra virgolette in quanto vanno intesi in senso lato, di fenomeni di sincronicità.

Un certo stato d’animo interno,(e qui approfitto per sottolineare che non si dovrebbe abusare della lettura dell’I King, cosa che del resto gli antichi Cinesi non facevano, ma utilizzarlo solamente in momenti critici della propria vita, caratterizzate dall’emergenza dentro di noi di una forte energia psichica, a maggior ragione se ci si trova di fronte a decisioni importanti da prendere e non si sa quale sia la strada giusta) viene messo in relazione, in accostamento con una determinata sentenza dell’I King alla quale si perviene attraverso la corretta interpretazione,il corretto esito del lancio di tre monete ripetuto per sei volte, come prima avete potuto vedere. Lo stesso Jung, in alcune occasioni, con pazienti selezionati e quando erano rispettate le condizioni che vi dicevo prima, lo utilizzava. Ad esempio, se voi leggete l’ultimo capitolo del suo libro "L’uomo e i suoi simboli" trovate descritto un caso clinico dove l’I King viene consultato.

Perché "funziona" l’I King? Da una parte perché le risposte sono costituite da immagini simboliche o da sentenze generali o da entrambe aperte a infinite possibilità di interpretazione, in base alla specifica situazione di colui che consulta. Direi di più: è proprio così che deve essere letto: adattando l’interpretazione alla nostra situazione e lasciando così che l’inconscio trovi da sé le risposte che interessano e che prima della lettura esso conteneva o sapeva solo in modo potenziale. E’ un po’ se volete lo stesso principio del test di Rorsharch.

Ma, oltre a questo livello di base, a volte sembra che agisca un principio molto più sottile, perfino inquietante, tanto le risposte sono pertinenti e raffinate. Ricordo a mo’di esempio un fatto personale: alcuni anni fa una mia amica lesse l’I King in mia presenza, ma non fu soddisfatta della risposta. Volle riprovare, anche se io le spiegai che non aveva alcun senso: l’I King va letto una sola volta. Lei riprovò lo stesso e le uscì questa sentenza intitolata "La follia giovanile": "Non sono io che ricerca il giovane stolto, è il giovane stolto che cerca me: interrogato una volta, io rispondo; interrogato più volte, questo è importunare". Impressionante.

Passiamo adesso all’ultimo punto: quale interesse dovrebbe rivestire l’I King per un sufi?

Innanzitutto direi che la visione cosmologica del misticismo musulmano, che in qualche modo deriva dall’esperienza del Miraj del Profeta, e che prevede la fuoriuscita dall’Uno dei differenti piani dell’essere (piano angelico-spirituale, piano animico-psichico-immaginale, piano corporeo-materiale, e tutti questi correlati tra di loro) è un modello che in qualche modo non esclude a priori la possibilità di avvenimenti simili che in qualche modo sfidano la razionalità comune.

E in secondo luogo aggiungerei questo: essi ci inducono a riflettere su quale potrebbe essere una definizione di "esperienza di Dio"(ammesso che Dio possa essere oggetto di esperienza) che può accomunare noi tutti qui presenti stasera, sufi, compagni di viaggio, credenti o in ricerca. L’esperienza di Dio che tutti al mondo possono fare, anche le persone più umili, è l’esperienza-intuizione di un "più", di un "oltre" che pure ci resta inafferrabile, indefinibile e sfugge alla nostra portata. Quando ci succede un avvenimento di tipo sincronico, siamo colti da un sentimento di meraviglia, di stupore. Abbiamo l’impressione che l’universo non sia un meccanismo cieco, meccanico, ma che vi sia "di più". Un "di più" che in maniera elusiva e imprevedibile ci viene a visitare, ci viene ad interpellare. E che da noi aspetta una risposta. Un "di più" che ora possiamo solo intuire, ma che forse un giorno potremo incontrare.

 

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