Tratto da "RAPPORTARSI CON GLI ALTRI E CON SE STESSI" di Nazzareno Venturi.  Saggio sulla psicologia transazionale, pubblicato e ormai esaurito su carta stampata dalle ed. Sufijerrahi nel 2010. Attualmente disponibile in formato ebook (leggibile su pc o si tablet) su Kindle Edition distribuito da Amazon.

 

LA FAME DI CAREZZE


Che cosa è una carezza? Un segno di esistenza, di affetto, di riconoscimento.  Per estensione psicologica   è anche un sorriso, una stretta di mano, un saluto, un applauso, un segno di attenzione da parte degli altri...   Proviamo a guardare la gente e  noi stessi in questo modo: persone che vanno alla ricerca continua di carezze. Non è difficile risalire, dal comportamento presente, al modo in cui si è vissuta, nell'infanzia, la fame di carezze. Senza nutrimento affettivo, il bambino può morire, lasciarsi andare nell'inedia, ed è dimostrato che  la sua evoluzione intellettuale e fisica risulta compromessa. Gli stimoli nella prima infanzia sono necessari quanto le proteine.

La relazionalità è condizionata dalle esperienze iniziali:   chi ha avuto, fin dai   fondamentali momenti dopo il parto, il contatto amoroso materno e poi, nei primi tre anni di vita, quei sorrisi, quell'attenzione, quella presenza fisica, affettuosa e rassicurante, che una madre può offrire, è segnato positivamente per tutto il resto dell'esistenza;  chi invece è stato rifiutato e gli è stato negato, per un motivo o per l'altro, tutto ciò, subirà questo handicap per tutta la vita: molte schizofrenie derivano da questa privazione.

E’ sufficiente che i primi mesi siano stati vissuti dal neonato nella "conferma" dell'amore materno, o comunque in una continuità con un'altra figura che gli ha donato un sincero affetto, anche se momentaneamente, per evitare il peggio.

Dai cinque anni in poi l'ambiente e l'educazione potranno modificare superficialmente la realtà psichica del bambino   anche perché egli stesso reagirà secondo quei copioni di base. Se è stato rifiutato rifiuterà, se è stato amato sarà subito pronto a socializzare amichevolmente. Se ha subito violenza (carezze negative) sarà pronto a replicarla, poiché esiste una conferma negativa, quella per esempio in cui il piccolo viene picchiato ogni volta che piange (il piangere per un neonato può segnalare sia un disagio fisico come la fame, sia la richiesta di protezione ),  tenderà anche da adulto a relazionarsi con gli altri attraverso la violenza poiché ha conosciuto solo questo tipo di conferma. Ciò è tipico in molti cosiddetti "delinquenti" : è come se inconsciamente compissero dei reati per il gusto di essere puniti o per suscitare negli altri un interesse nei loro confronti, che altrimenti non avrebbero. Tutto sommato meglio la conferma negativa piuttosto dell'indifferenza: il rifiuto totale significa morte psichica.

L'essere umano ha necessità di una continua relazione efficace col suo prossimo,  intellettuale ed affettiva, la privazione dello scambio vicendevole lo porta ad uno stato di sofferenza e poi di inedia, ed è per questo che la pena più disumana  (nei secoli  e ancora oggi) è   l'isolamento, nelle prigioni e nei manicomi.

Rinchiudere per punizione il bambino nella sua stanza, impedirgli di frequentare amici e compagni, è l’errore più grave che si possa fare per correggere il suo comportamento: con la stessa insensibilità dei genitori egli, ormai adulto e loro anziani, finirà per sbarazzarsene rinchiudendoli in un   ospizio. Un meccanismo insomma da interrompere poiché tende a ripetersi di generazione, in generazione.

Si continua così, a cercare carezze nella vita nei modi in cui esse sono state vissute nell'infanzia. Ci sono persone che per avere un minimo di riconoscimento sono disposte a tutto.

 "Se farai il bravo, se farai come dico io, ti accetterò, avrai la mia attenzione".

 Gli animali da circo  in cambio di una prestazione ricevono uno zuccherino, il bambino una carezza, un sorriso o semplicemente un’attestazione di esistenza: l’attenzione della madre o del padre.

Perché tanta gente cerca disperatamente il così detto " posto al sole" ? Perché cercare  di diventare "qualcuno"?  Ricerca legittima, se compiuta onestamente e coi propri meriti,  ma non si fa nulla, senza una motivazione conscia o inconscia che sia.  Ricercare certi ruoli di "prestigio" può far sentire appagati,  perché si ricevono  quelle carezze tanto cercate  e soprattutto perché si  è al centro dell'attenzione: che poi  in realtà  le carezze siano finte e dovute al ruolo, alla maschera che ci siamo dati  e non alla persona, alla sua identità profonda,  poco importa.

I bambini emulano gli adulti. I modelli primari, amati o temuti, sono i genitori.  Un genitore burbero e affettivamente lontano, presente solo nel dare ordini  impone al bambino un atteggiamento di reverenza, che sarà premiato da qualche carezza. Avere da adulti dei sottomessi che ci riveriscono significa  ricostruire specularmente il copione dell'infanzia. Essere come lui... Quindi da una parte si tende ad essere come chi ci dava le prime carezze dall'altra si continua a subire la  tirannia  del modo in cui esse venivano date. Questo perché nella prima infanzia i confini tra l'io e l'altro non sono tracciati con chiarezza, esiste una fusione con l'altro e da questo incrociarsi identificativo si struttura la psiche. Se quest'altro poi manca del tutto la psiche ne risente in modo irreversibile. Dalla “copionizzazione” nasce un comportamento che esigerà di essere ripetuto per tutta la vita: solo se è riportato in tutta la sua forza emotiva a galla (al conscio) può essere modificato in modo da renderlo elastico alle esigenze della realtà.

Purtroppo non è così frequente che le carezze si scambino spontaneamente per dimostrare  affetto e   stima, spesso si cercano e si danno con la stessa artificiosità a cui ci si è stati abituati   nell'infanzia:

"Dai un bacino al signore”...”Saluta lo zio”...”Fai vedere al papà quanto sei bravo" “Come si dice? Grazie!”

Questa viene chiamata “educazione”, ma può tramutarsi in adulazione e quindi in ipocrisia. Il gioco delle finte carezze può durare tutta la vita.

L'esibizionista fa di tutto pur di catturare l'attenzione: "Mamma guarda come sono bravo, vado senza mani sul manubrio!" Il narcisista invece si compiace da solo, vuole tutto per sé, si auto accarezza (che è diverso dal volersi bene e dall'autostima), nega agli altri le carezze, con egotismo si ammira, replicando  l'autocompiacimento dei propri genitori, poiché da essi non ha mai ricevuto un sostegno affettivo ,sincero, empatico, naturale, né li ha visti e sentiti attenti agli altri ed alla vita, ma solo a se stessi. Il divismo è la  sintesi di questo modo di vivere: senza generosità non c'è creatività, non c'è scambio costruttivo.  Solo apprezzando l'altro si può imparare, solo rispettando il "chiunque" si può capire ogni linguaggio e farne tesoro.

E' così impellente la fame di carezze che per sentirsi dire: " Ti amo , sei bella!" una ragazza rimane inerme di fronte al primo   approfittatore. E' così forte che per fare bella figura in un matrimonio si ricorre all'usuraio che manda in rovina. Così imperiosa che un soldato per prendere una medaglia ammazza persone come lui...

Per ottenere dunque un consenso esterno si evita di discriminare, di valutare attentamente quali siano le motivazioni del proprio agire, ci si lascia ricattare e plagiare: “se mi vuoi bene devi fare quello che ti dico” ovvero “sii quello che io voglio tu sia  ed  in cambio ti darò la mia attenzione

Osservando con attenzione la pubblicità e la politica elettorale, ritroviamo questo gioco malsano che, da una parte, stimola la vanità e dall'altra  la voglia di riscatto (siete stati sempre presi in giro, non ve lo meritate...vale a dire: io vi offro carezze quando gli altri ve le hanno negate ).

 In effetti: riconoscere in sé e nel prossimo   questa fame di carezze  significa evitare di essere ingannati e cominciare davvero ad amare ed a lasciarsi amare.

 

L'educazione basata sulla carezza e sulla sberla o rimprovero ( carezza negativa) in realtà è un addestramento animale. Tutta la struttura sociale primitiva si mantiene secondo la legge dei premi e dei castighi: se ti comporti come l'autorità comanda avrai delle ricompense e se ti ribelli sarai punito. Poi ogni rozza autorità stabilisce cosa è bene e cosa è male secondo  i suoi preconcetti e tornaconti . Anche le religioni nel loro aspetto popolare soggiacciono allo schema. Ma se l'uomo non sapesse andare oltre  questa "morale" non sarebbe migliore di qualsiasi altro animale sulla base dei riflessi condizionati.

Certamente non si può riprogrammare da zero l’essere umano, la base animale della ricompensa e della punizione fa parte dell’adattamento all’ambiente: gli eventi finiscono per “punire” l’errore e “premiare” il risultato vincente. L’uomo però ne può fare un uso intelligente, educativo “spiegando” in modo adulto il perché certe azioni vanno premiate ed altre scoraggiate o punite. Viceversa l’uso dei premi e dei castighi allo scopo di assoggettare le persone a modelli ideologici e consumistici priva l’uomo delle sue potenzialità e della sua dignità. E’ l'individuo comunque che deve capire, non la società, dalla piccola istituzione famigliare allo stato, in quanto l'istituzione per natura è inconscia e ripetitiva. Solo l'individuo impara ed evolve, e se sono tanti gli individui che crescono,  anche le istituzioni in cui essi operano diventano funzionali alla realtà per il benessere collettivo (quanti meccanismi inadeguati continuano a imporre le regole sociali, pensiamo il riferimento al PIL, sostanzialmente illusorio, come ebbe a spiegare Robert Kennedy poco prima di essere ammazzato, oppure l’utilizzo di fonti energetiche inquinanti e sorpassate come il petrolio! ).

Ogni società genera i suoi eroi, modelli esemplari.  Qualche volta rispondono alle caratteristiche più elevate dell’uomo  altre volte a quelle più volgari. Ma aldilà dei modelli non c'è un individuo da "accarezzare" come migliore né ci si deve "accarezzare" come migliori, ci sono invece persone di valore che in mezzo a tanta mediocrità egoistica cercano, lavorano e costruiscono  liberamente con capacità ed umiltà. La gratificazione è fine a se stessa, nasce dal cuore, libera dal  desiderio di premi  in questo o nell'altro mondo.

 

dott. prof. Nazzareno Venturi

 

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