Pieter Bruegel il vecchio
L'ideale della bellezza e dell'armonia inseguito dai rinascimentali comporta il rischio di dimenticare la realtà ed il suo vissuto: non si guarda più le cose come sono ma l' immagine a cui si aspira. La lacerazione tra reale ed ideale conduce ad una finzione artefatta di vita ,all' ipocrisia, alla fuga dal riconoscere emozioni, paure, limiti di cui siamo fatti. Bruegel rifiuta il manierismo e con esso il narcisismo delle corti, il culto dell'immagine e delle mode, e con coraggio affonda nella carne del tessuto sociale e di se stesso, unico modo per sentirsi e sentire davvero. Lungi dall'inaridimento del crudo vivere, questa operazione di ritorno a quel che siamo fa affiorare sentimenti e poesia, sublimazione intensa ed effettiva dell'esistenza. .E' ciò che andiamo a scoprire nell'arte di Bruegel. Ma non possiamo scorgerla guardando gli uomini, bensì la natura, da sempre in armonia con le sue leggi divine da cui l'uomo si è scisso. Solo il pastore, simbolo di chi non è attaccato al possesso terreno (nel quadro in secondo piano) ma che nomade accompagna il gregge sul suo suolo, vive la risonanza intima del senso del creato: è sulla terra ma non della terra. Nel 1500 nei paesi bassi essere pittori significava frequentare la nobiltà , dipingerla e dipingere per essa. Ma il "sangue blu" ha all'origine poche volte la virtù, ma avventurieri che lo hanno comprato, prepotenti che lo hanno conquistato nell'illusione che il potere significasse un salto di qualità dell'essenza. Potere , invece, come rivelatore di senso profondo di impotenza, immagine omicida e prevaricatrice che nasconde una fragilità insopportabile. All'origine tutti contadini, tutti primitivi e bestiali. Meglio allora dipingere questa origine comune, per lo meno autentica. E' quel che fa Bruegel. Dai viaggi compiuti in Italia ed a Costantinopoli (l'odierna Istanbul) il pittore fiammingo raccoglie squarci di vita e bellezze paesaggistiche, quasi sembra indifferente ai movimenti artistici. La sua è una pittura gotica ed Il suo stile ricorda Bosch, quasi un prosecutore in certi quadri, ma in un contesto in cui la fantasia serve solo a sottolineare i tratti grotteschi dell'uomo. Nei quadri apparentemente prolissi eppur chiari, dettaglio dopo dettaglio, l'ipocrisia è messa a nudo, la denuncia evidente. Questo è l'uomo, un'umanità composta da omini di cui i più ridicoli sono quelli che si sentono potenti , quelli protesi ad acquistare un posto solare nella società e nella storia. E la morte, l'unica protagonista , continua a pescare tutti con indifferenza, annullando fino l'ultimo dei ricordi. Ma all'uomo piace illudersi, come se nell'illusione si potesse trarre senso dalla vita. Una torre di Babele innalza come per dire:< io sono qualcuno, guarda cosa ho fatto!> Ma a chi lo dice? A Dio, agli altri, al mondo ? Forse più semplicemente è il bambino in lui che vuol mettersi in mostra davanti alla figura genitoriale per ottenere una lode: <ma che bravo! Quanta cacca che ha fatto il mio tesoro!> Riduzione ? Sarà... Certo è che l'ironico Bruegel rivela nella sua pittura alcuna depressione, né disperazione, anzi par si diverta e ami far divertire ma non come un'istrione. E' serio perché sa vedere quel che conta. Perché non godere di quel che la vita offre, senza per questo diventare cani e porci? Il ritmo del lavoro quotidiano ha il suo sapore, e offre le sue soddisfazioni. C'è una intrinseca bellezza in ogni attività. Si può anche affermarlo oggi, pur intrappolati tra asfalto e cemento, trappole che nulla ci impedisce di smontare architettonicamente. Ieri come oggi si torna a casa col frutto del proprio lavoro. Forte doveva essere la fede in Bruegel e la si vede dal contrasto con il bigottismo, la falsa religiosità che ritrae senza pudore. Nasciamo in una religione e ne beviamo le forme col latte materno, ci viene detto che è la migliore se non l'unica vera e ne seguiamo la burocrazia rituale ed i dogmi. Non importa sia l'induismo, il cristianesimo, l'ebraismo e l'islam, il meccanismo è lo stesso e di questo meccanismo si viene a far parte. La religione è seguita per consuetudine, come pedaggio dovuto per l'appartenenza ad un branco. Nel quadro "l'andata al Calvario", ambientato nel fiammingo 1500, si fa' fatica a rintracciare Cristo tra il formicolaio di gente . Pare qualcosa di marginale quando la sua vita ed il suo insegnamento sono all'essenza del cristianesimo. Ciò riflette l'andazzo quotidiano: andar a messa tanto per andarci, per passare il tempo o per dovere, perché è domenica e per fare due chiacchiere con gli amici ( o in moschea al Venerdì o alla sinagoga il Sabato). Bisogna soffermarsi nei particolari: ogni individuo pensa agli affari suoi, c'è chi borseggia, chi è lì per farsi vedere, chi litiga, chi si diverte, chi vuole godersi lo spettacolo L'unica realtà ferma, solida eppur plastica, è la terra che sorregge questo brulichio, come un palcoscenico che c'era prima e rimarrà dopo l'esibizione. Tra i tanti il Cristo non è un'eroe che si sta sacrificando (per costoro?), ma una comparsa che serve alla messa in scena. Di autentico c'è il dolore di una donna che si diffonde intorno , da cerchi piccoli a cerchi grandi diminuendo di intensità fino a svanire nell'insieme. L'ultimo quadro di Bruegel, i ciechi, porta un implicito sottotitolo : "così va' il mondo": ciechi che guidano ciechi, il primo finisce nella fossa e gli altri lo seguono. Quel che oggi è un dato sperimentale sulla psicologia delle masse, verificabile puntualmente con gli esperimenti psicologici, era evidente anche ieri dalla giornaliera osservazione. Gli uomini si guardano gli uni con gli altri per decidere la direzione del proprio comportamento e la mandria si mette in moto convinta che è quella giusta. I capi del branco sono ciechi guide di ciechi, ma per l'istinto animale è importante seguire qualcuno e qualcosa senza domandarsi perché, senza verifiche. La normalità è fare quel che fanno gli altri anche se ciò può equivalere a follia. Ben pochi si sottraggono al cieco destino, alla storia. Sappiamo poco della vita di Bruegel ma i suoi quadri parlano di lui , ci permettono di ritrovarlo . Un maestro che non si sentiva superiore e speciale ,ma che anzi, accettava l'evidenza del limite della condizione umana. Esserne consapevoli significa ammettere di sbagliare, di aver continuamente necessità apprendere, di aver bisogno di calarsi sempre più nella vita per sentirla, e non per pensarla soltanto. Ed allora gli occhi cominciano ad aprirsi. Fa bene piangere sulla miseria umana a cominciare dalla propria, fa bene riderne. Solo Dio è grande. Nazzareno Venturi
|
,