.9Bpalma.gif (2680 byte)

LA GUIDA DI FRANCESCO D'ASSISI

©

prof. dott. Nazzareno Venturi

(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio,  essendo provenienti da pubblicazioni protette da copyraght,  possono  essere fatte solo tramite autorizzazione - il presente testo è stato pubblicato col permesso dell'autore -)

 

Il bisogno di un maestro ( guru, padre confessore, psicoterapeuta, sceicco  etc) ne riflette un altro , quello di un genitore perfetto che mai abbiamo avuto, comprensivo, empatico, capace di darci la libertà espressiva del sé autentico. Il bisogno di Dio o di un idolo rispecchia la stessa nostalgia amplificandola ed astraendola. Ciò non significa che non esista una funzione genitoriale e non esista il divino, ma che l'illusione non ci permette di valutare veramente sia la funzione educativa sia l'appercezione stessa del divino.

Se non ci si salva dall'illusione  del meccanismo proiettivo si rimane preda di persone disoneste o di mitomani. E questo nella vita quotidiana oltre che  nel contesto delle proprie esigenze spirituali . Quando si conosce se stessi  si può conoscere. Come si sa distinguere in sé il moto alienato dall'espressione genuina, così si riconosce una guida  fasulla da una vera . Un maestro autentico sa gestire la propria funzione, non gli importa nulla di essere venerato né ama pompare la cerchia dei discepoli, che per lui sono dei viandanti come è lui stesso, con la differenza che egli conosce il viaggio e la meta . Offre loro gli strumenti per imparare , orientarsi,  ricercare autonomamente. Nulla proietta in loro, né desidera che i sentimenti, i gusti, i pensieri si allineino con i propri. L'importante è il Fine non le strade che del resto sono tante quante gli esseri umani. Anzi è proprio dal ritrovamento della propria strada che ci si individua. L'individuazione è la via maestra , una eppur sempre nuova ogni volta uno spirito l'imbocca. Consapevole dei propri limiti e della propria umanità, ma anche della propria indipendenza ed esperienza induce gli altri a riconoscere in sé questi caratteri per trovare l'essenza (dhat).

Regola aurea è quella della povertà (fakr) dove l'avere non confonde più l'esserci. E' la spoliazione dei preconcetti e di una vita vissuta per apparire, per illudersi.

La vita di Francesco d'Assisi (1181-1226) è la storia di una ricerca di una guida . "Siamo tutti alla ricerca del padre" avrebbe detto con consapevolezza psicologica non tanto per allineamento ideologico al concetto del Dio cristiano . Tutto comincia da  un lutto. Muore in lui  il bisogno di una ricerca genitoriale idealizzata, il suo sé si libera dai condizionamenti famigliari,  il bravo bambino che asseconda i genitori negando a se stesso la propria evoluzione . Non è dalla rimozione dell'infanzia e della giovinezza , ma dalla sua accettazione reale, che nasce la trasformazione. Francesco  vede il suo passato infantile per quel che è, con i suoi condizionamenti, falsità, prepotenze e ne risente tutta la sofferenza e le amarezze. All'esterno la sua giovane vita poteva sembrare idilliaca e lui stesso   avrebbe potuto costruirsi una immagine distorta del suo passato , come fanno i più, impauriti dalle verità scomode, ma egli  la rivive nella sua crudezza , non per piangerci sopra ma per riscattare se stesso. Questa  legittima esigenza di autenticità la espanderà al suo contesto sociale, precipuamente alla sua religione di nascita laddove la ricerca del potere e della ricchezza avevano oscurato il senso del vangelo.  Solo per un adulto senso  realistico accetterà il compromesso con l'apparato gerarchico e burocratizzato , evitando inoltre di essere messo sul rogo. Per quanto la sua religiosità sia panteistica, si ispira alla figura di Gesù  poiché in essa vede la liberazione dei sentimenti religiosi genuini  dagli aridi formalismi  farisaici, quegli stessi  incrostati nella Chiesa che denuncerà davanti al papa. Ma Francesco ed il francescanesimo saranno presto istituzionalizzati ridipingendogli addosso l'immagine del bravo bambino fedele alla genitorialità religiosa. Ma attenzione. Evitare di "fare i bravi bambini" non significa "fare i cattivi". Uno zingarello a cui la madre impone di andare a rubacchiare farà "il bravo bambino" comportandosi come    mamma vuole, per assicurarsi la sua protezione. Essere "bravi" significa seguire i parametri dati. Il fine non è essere rivoluzionari, sempre contro l'autorità (la genitorialità) o reazionari  difendendola, ma essere se stessi, capaci di rabbia ma anche di consenso laddove è ragionevole concederlo. E' un conto l'adattamento adulto e razionale un altro è l'iperadattamento che per sentirsi confermati prima dalla famiglia eppoi dal sociale richiede la rimozione dei propri sentimenti e della propria intelligenza. Ci si assicurerà un finto amore, un consenso, la carriera, ma perdendo il senso della propria evoluzione, dell'appercezione dell'anima in cambio di un  modello comportamentale stereotipato.

Storia o leggenda che sia racconta  che un impulso lo obbliga a "riparare la casa del Signore". La chiesetta diroccata di S.Damiano è come un sogno da interpretare: la casa di Francesco (il suo sé) è ormai crollata, la struttura precedente era quella anonima, comune di un giovane con una ricca famiglia alle spalle piena di aspettative su di lui. Ma è da questa struttura che deve prendere i pezzi. E' comunque la "sua" materia grezza. Realmente ma ancor più simbolicamente vende  le stoffe del padre, per aver soldi ( energia) sufficienti per il lavoro, per l'opera di trasmutazione.

Il destino che la famiglia voleva per lui era quello di una carriera militare o politica, o quella di proseguire il piccolo impero economico messo su dal padre, Pietro di Bernardone, nato dal commercio di tessuti. Francesco non solo imparò la musica, il latino, il provenzale ( le cui poesie spesso echeggiano motivi sufi ) ma ebbe esperienza degli affari e delle armi, avendo partecipato alla guerra contro Perugia a difesa della sua Assisi. Sconfitto conobbe l'amarezza della prigione per un anno (1202-1203). Si arruolò di nuovo nell'esercito pontificio (1205) contro le truppe dell'imperatore in Puglia ed è in questo periodo che   comincia  a verificare se stesso, a contattare  l'inconscio. Un sogno misterioso lo riporta ad Assisi. Il suo stile di vita cambia: riflette, medita, ama la solitudine, l'esistenza condotta precedentemente gli appare vuota, insignificante, e questo comportamento critico lo porterà a conflitti con la famiglia. Perché seguire un destino indotto da altri? Perché rinunciare a se stessi per mettere in scena, come una marionetta compiacente, quanto gli altri vogliono da te ? Per adattarti alle altrui  aspettative  devi rinunciare alla tua ricerca, ai tuoi sentimenti. La parte autentica del tuo sé chiede  di essere ascoltata...il dialogo intrapsichico di Francesco diventa sempre più serrato fino ad isolarlo dal mondo.  Cade "malato". Uno stato dissociativo, forse schizofrenico accompagnato da febbri. Francesco non poteva uscirne fuori se non avesse trovato dentro di sé  un amore sincero , comunque un'attenzione  nella sua infanzia, dalla madre soprattutto, madonna Pica, una nobile donna provenzale. Poteva "guarire" solo con una conversione totale , con un distacco dalla famiglia, "spogliarsi" di tutto il suo passato fatto di sogni di gloria, eroismo, cavalleria, potere mondano. Continuare a vivere per essere "ammirato" prima dai genitori e poi dalla società ( continuando lo stesso bisogno infantile) significa fondarsi sul niente. Il fondamento sta nei propri sentimenti non sulle qualità che la vita si riprende  una ad una, dalla bellezza, alla forza, alla genialità. Essere liberi di piangere, di affrontare il dolore ma anche la gioia, di essere teneri, di esprimere insomma tutto il sentito della vita  fino allora  rimosso. Finalmente fuori da ogni depressione ed esaltazione che nascono dalla dipendenza altrui,  dal genitoriale e dal suo prolungamento  sociale . Ciò significa spogliarsi del falso sé e questo pure fa con un gesto simbolico davanti al piazzale della chiesa: Matto di Dio.

Nella ricostruzione di sé è solo, non va a cercare altri per distrarsi, per scappar via da se stesso. Consuma la sua solitudine come una fiamma che sciogliendosi, conosce ciò di cui è fatta. Ma è la liberazione di una piccola vita che a poco a poco entra a far parte della grande vita. Non ha più bisogno di essere ascoltato e capito, è lui adesso che capisce e ascolta senza barriere, che accetta di buon animo le persone, le cose così come sono, empaticamente. Quel che è è quel che è. Alcuni amici entrano in sintonia con lui, sentono il suo risveglio e ne partecipano. E' una religiosità nascente, panteistica, mistica. Francesco si sente parte della natura, del cosmo, dell'energia che muove ogni cosa. E' innamorato della sua sorgente divina. Attrae senza volerlo in questa nuova costruzione chi, non per imitazione ma per proprie istanze sente accendersi una nuova vita. Il sentimento religioso nei riguardi del creato che tipizzerà  il francescanesimo, espanderà la consapevolezza che solo in una collocazione non di dominio ma in armonia e rispetto della natura l'uomo può essere in pace e letizia. 

Tutto ciò preoccupa la burocrazia ecclesiastica del suo tempo. In questi casi due erano le soluzioni: o il movimento rientra nella istituzione, si lascia controllare da esso oppure viene eliminato con il suo fondatore in un bel falò. Francesco rischia di brutto: convocato dal papa gli getta in faccia le parole del vangelo sulla semplicità, la povertà : affronta una istituzione che di semplice e povero nulla più aveva. E' un momento in cui si condensano tutte le sue riflessioni, le sue emozioni. Le sue parole trasudano questa densità. Ricorda  Gesù quando inveiva contro gli scribi e farisei, ma evita di insultare, di fare l'eroe martire. Ricorda il monito di Gesù ad amare, ma anche il disprezzo per l'ipocrisia  del finto amore, quello intellettualizzato, di convenienza, parolaio. L'amore è un fatto spontaneo, un fiume che scorre senza essere spinto da nulla, questa è la sua natura. Ogni imitazione dell'amore è meschina. Si può rispettare il prossimo ma non amarlo. E' impossibile comandarsi di amare ed è ipocrita raccomandarlo. E' una pulsione del cuore , un suo comandamento,  non una costruzione del cervello che si  può mettere in scena con atteggiamenti. Solo conoscendo se stessi, soffrendo la solitudine del  falso amore che si è dovuto fingere per assicurarsi la benevolenza dei genitori e del prossimo, ce ne si può liberare per poi far scorrere i sentimenti genuini. Francesco cita i passi del Vangelo ai vescovi ed al papa come se non ne avessero mai sentito parlare. Non idealizza le sontuose figure ecclesiastiche che lo guardavano, non pretende di essere capito, agisce così poichè sente che in quel momento è giusto senza far filtrare troppo le parole dalla prudenza. Ci sono delle volte che bisogna giocarsi fino in fondo e quel momento non bisogna lasciarselo sfuggire.

Vuoi per una mossa diplomatica vuoi perché colpito dalla forza sincera che animava quelle parole il papa evita che sia messo in carcere. E iniziano i compromessi per far sopravvivere il movimento.

Le credenze religiose, spesso intrappolate  in concettosi dogmatismi   e nelle affermazioni ideologiche di superiorità dei loro burocrati non costituiscono la fede. L'impulso irrazionale ed esperienziale della fede è dettato dal cuore non dal bisogno di aderire a qualche schema. Francesco compie un processo di conversione della sua vita guidato dalla fede in Dio. Ma per scoprire  lo spirito di questa conversione bisogna tornare alla sua infanzia quando si accostava alle poesie dei trovatori. Ci sono persone, luoghi, parole, scritti che vengono emotivamente assorbiti nella giovinezza come un lievito . Idries Schah nel suo libro "i sufi" (ed.Mediterranee) ha colto immediatamente questa relazione. I trovatori  sono probabilmente gli epigoni dei musicisti e poeti arabofoni e comunque da essi trovano materiale di ispirazione. Il sud della Francia fu assoggettato all' Islam e in questo periodo i suoi costumi presero una gaiezza, una libertà di spirito che conquistò molti stranieri. Tra essi anche Pietro di Bernardone che amò la Francia fino al punto di chiamare Francesco suo figlio e sposarne una donna.  Francesco  parlava provenzale e probabilmente aveva colto nelle poesie dei trovatori quello spirito sufi che le animava. Forse il primo lievito è qui. Una attrazione dapprima  inconscia lo portò, come un trovatore alla ricerca delle sue origini, a viaggiare tra i popoli arabofoni. Molti giovani, particolarmente dotati, partivano dai luoghi  cristiani verso quelli islamici, soprattutto  la Spagna andalusa, per migliorare i loro studi. Là avrebbero trovato università, biblioteche, professori di tutte le scienze celebri per la loro sapienza, in un clima di tolleranza e progresso. E' presumibile che Francesco divenne consapevole che in queste terre poteva trovare  quel che cercava. Non riuscì ad arrivare in Marocco ma ebbe comunque modo passare in una Spagna dove il sufismo era vivo ed operante . Si spinse infine in Egitto dove, secondo il famoso islamista cristiano Massignon, fu iniziato al sufismo. A Dalmiata lo ricevette il sultano Malk al Kamil. Un cronista riporta che:" Il sultano non solo congedò Francesco in pace, con stupore e ammirazione per le inusuali qualità di quell'uomo, ma lo prese completamente a benvolere, dandogli il permesso di predicare ai propri sudditi, e pregandolo di tornare frequentemente a fargli visita" ( citato da I.Schah, op.cit. ).Tutto secondo lo stile dei potenti che nell'Islam agevolavano i sufi e si   sottomettevano al loro consiglio . In opposizione alla guerra santa contro gli infedeli bandita dal papa, Francesco nel 1219/1220 aveva indetto una sua crociata spirituale, ossia lo sforzo per convertire i cuori a Dio liberandosi dai condizionamenti materiali. La versione che sia andato per convertire i musulmani è forse la meno credibile giacchè sul luogo l'unica persuasione che tentò fu verso i crociati affinchè evitassero la guerra. Francesco era matto ma di Dio. Evitava assurdità,  seguiva obiettivi precisi adoperando mezzi idonei per conseguirli. La confraternita che creò ed il movimento che da essa si propagò non è da vedersi in chiave solo romantica. Francesco sapeva il fatto suo.

.9Bpalma.gif (2680 byte)

Nel 1209 organizza la sua comunità  fondandola sulla mancanza di beni privati e sulla uguaglianza tra tutti : questa  la regola . In essa premette subito questi quattro brani evangelici, da leggersi pensando alla sua vita: se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai e ciò che ricavi dallo ai poveri; allora avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi (mt. 19, 21). E ancora: se qualcuno vuol venire dietro di me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua (lc. 18, 22). E in un altro luogo: se qualcuno viene con me e non ama me più del padre, della madre, della moglie e dei figli, dei fratelli e delle sorelle; anzi se non mi ama più di se stesso, non può essere mio discepolo (mt. 16, 24). E infine: chiunque abbandonerà padre e madre, la moglie o i figli, case, campi per il mio amore, riceverà cento volte di più e avrà in eredità la vita eterna (lc. 14, 26).

La regola subirà dei ritocchi ma rimarrà questo punto caratteristico:E tutti i frati si vestano di abiti vili che possono rattoppare con sacco e altre pezze con la benedizione di Dio. I quali ammonisco ed esorto di non disprezzare e di non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usano cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso" Caratteristico pure dei sufi, col loro saio rappezzato, che non giudicano nessuno in base alle apparenze e tantomeno esercitano il disprezzo, riservandolo semmai a se stessi (come tra i malamiti che lo spingono all' eccesso) comunque l'autocritica, per raffinare sempre più l'interazione comprensiva con gli altri.

La struttura dell'ordine  manterrà nei secoli la mancanza di una rigida  gerarchia . Padri guardiani e provinciali ruotano infatti ad ogni Luna (un periodo di tre anni), possono o meno venir confermati nella funzione e nel luogo." Questa mancanza di rigidità gerarchica si trova anche nel Sufismo. La gerarchia si basa su funzioni e spesso esse sono "nascoste". Può succedere che tra gli stessi sufi di una tekke e di una dergah non si conoscano le figure e le funzioni. Esiste comunque una struttura funzionale di facciata evidente ma il sufismo non si esaurisce in una sorta di carriera ecclesiastica, tanto per intenderci, e le funzioni di guida non sono intese come di prestigio e potere ma di maggior carico di lavoro e responsabilità. Così anche per Francesco: "Inoltre, nessun frate creda di esercitare qualche potere o dominio, specialmente nei confronti degli altri fratelli, dal momento che il Signore dice espressamente: i capi dei popoli comandano come duri padroni, le persone potenti fanno sentire con la forza il peso della loro autorità: non cosi' deve essere tra i fratelli ( mt. 20, 25). Chiunque voglia essere grande tra di loro, si faccia servitore degli altri. E chi tra loro è piu importante diventi il più piccolo (Lc.22.26).(1219). Come nel sufismo ci sono maestri itineranti così tra i frati ci sono padri  che vanno di paese in paese per predicare. In altre parole l'organizzazione sufi,  pur non essendo una democrazia (a sua discrezione il maestro elegge gli allievi tra i postulanti, sceglie i compagni non sufi che possono o meno partecipare a riunioni allargate o ristrette ) ha un dinamismo funzionale basato sulle qualità degli iniziati. Lo sceicco ( colui che  ha avuto l'investitura e l'illuminazione da un'altro maestro) non  si sente migliore degli altri sufi (ovviamente, poichè è libero da sentimenti paranoici) ma è consapevole di quelle caratteristiche  che gli consentono di   guidare una dergah. Ma più semplicemente insegna perchè gli è stato chiesto, perchè il pir ( il padre generale) ha riconosciuto in lui oltre le virtù e conoscenze tecniche acquisite, una straordinaria capacità d'amare. Altri sufi possono essere maestri senza per questo condurre un gruppo. Immediatamente, come succede nel francescanesimo o nella massoneria, pur non essendo democrazie, il sufismo fa da lievito nella società per la libertà, l'uguaglianza e la fraternità , antico assioma predicato dai sufi eppoi incanalato e fatto proprio dalla massoneria. Ma è un problema inesistente quello dell'ordine e delle sue funzioni, la sola concettualizzazione disperde l'essenza  in quanto il sufismo è una famiglia dai legami più forti del sangue : "poichè gli spiriti prima di nascere sapevano dove dirigersi per trovarsi insieme nella tekke (casa madre), chi viene dall'Australia chi dall'America mentre a due passi la gente non sa che siamo qui" ( Ibrahim Baba ).

Nel francescanesimo il ministro generale è chiamato "servo della fratellanza" (regola bollata del 1223) e l'obbedienza non è cieca : "Abbiate dunque cura delle vostre anime e di quelle dei vostri fratelli, poiché è terribile cadere nelle mani del Dio Vivente (Eb. 10, 31). Se un ministro comandasse ad un fratello qualche cosa contraria alla nostra norma di vita o alla coscienza di lui, il frate non è obbligato ad obbedirgli, poiché la obbedienza non è accettabile in tale caso.. Anzi, i frati controllino con attenzione e bontà come si comportano i loro ministri. E se constatano che qualcuno di essi si fa guidare da una mentalità puramente umana e non dallo spirito che deve animare la nostra vita, dopo avergli fatto notare ciò per tre volte, se egli non si è emendato, durante il Capitolo della Pentecoste ne parlino al ministro e servo di tutta la fraternità, senza lasciarsi intimorire da nessuno. (1219). L'obbedienza si basa sul riconoscimento della saggezza del padre generale  (il pir nel sufismo) e dei suoi vicari (i Khalifa), di quanto rappresentano, anche come mediatori della grazia (barakha). Come nel sufismo esiste un periodo in cui il maestro mette ripetutamente alla prova il postulante, così Francesco pone nella regola l'anno di prova prima del voto di obbedienza. La comunità comunque è tutta una fratellanza, una vera famiglia che non è stata scelta dal sangue ma dalla vocazione spirituale. La regola di povertà comune (eminentemente psicologica, come assenza di orgoglio e di avidità, come consapevolezza che in realtà non si ha nulla )  nel francescanesimo deve essere concreta: non possedere qualcosa di personale . La meta comune (Dio) unisce tutti nella varietà di funzioni, qualità, conoscenze, opinioni che diversificano la base. Niente deve sopravvivere a tutti i costi, anzi finito un lavoro si sbaracca. Come ogni vita che, finito il suo compito, si dilaterà oltre ogni tempo  lasciando nessuna traccia di sè  , dopo un secondo o dopo mille secoli. Sempre un nulla: "... tutto scomparirà tranne il Suo Volto" (Corano).

L'amore di Francesco è stata Chiara (morta nel 1253). Per un destino parallelo e di affinità quel che Francesco costruì per gli uomini Chiara per le donne fondando l'ordine delle  Clarisse. Facile per uno psicanalista vedere in Chiara l'anima riflessa di Francesco. E viceversa. Un amore sottile, sublimato che non si è esaurito soltanto nella carne ma è diventato movimento. I due destini dapprima si sintonizzano eppoi si fondono.   Sanno che Dio non è un genitore sostitutivo, una proiezione dei desideri di un amore pieno mai avuto dai genitori, nè che ha bisogno dei nostri sacrifici o delle nostre preghiere ma che lo sforzo di dure regole per acquisire la virtù, è finalizzato  a purificare se stessi per viverlo autenticamente . E' il nostro Sè più segreto ed indicibile, infinito.

Sentendo avvicinarsi la sua fine terrena, Francesco si ritirò sul monte Verna nel casentino e la leggenda vuole che un serafino con sei ali ( curiosamente è un'allegoria sufi per rendere la formula Bismillah) gli apparisse. Si aggiunse  che l'angelo portava un crocifisso . I segni dei chiodi nelle mani (come voleva l'iconografia tradizionale) e la ferita nel costato si proiettarono nella carne di Francesco. Così raccontò frate Elia, il successore, ma nonostante le sue buone intenzioni ebbe  poco credito, soprattutto all'inizio con chi   conosceva il fondatore . Comunque sia la forza dell'idea fu tale che da allora le stimmate diventeranno i segni tangibili di molti santi cristiani. Nel 1226, anno in cui morì, compone "il cantico di frate sole"   che ricorda le poesie mistiche mediorientali,  ed in particolare Rumi, il Dante Alighieri dell'Islam. Del resto i suoi canti sono stati composti dopo il suo viaggio in Oriente (un'opera di Rumi è proprio dedicata al sole , quel sole simbolico  intorno al quale ruotano i  dervisci nella loro danza ) . Frate Masseo ricorda che un giorno ad un incrocio lo fece roteare  per stabilire la direzione da prendere. Quando gli disse di fermarsi era girato verso Siena ed a Siena andarono. E la rotazione per i sufi stimola acquisizioni intuitive.

Le analogie di Francesco col sufismo sono sorprendenti. Sarebbe una forzatura considerarle solo giustapposizioni e semplici indizi di possibilità. Si potrà sempre dire che i mistici parlano un linguaggio universale, ed è vero, che oltrepassata la soglia della forma religiosa la costellazione spirituale è una per tutti. Ma quel che qui ci colpisce sono proprio delle affinità esteriori oltre a dati oggettivi. Comunque sia Idries Schah ne cita diverse, e tra queste ne riassumiamo brevemente qualcuna : Il suo ordine si chiama dei "fratelli minori", in genere si intende ciò come segno di umiltà, senza considerare che, coevo,  esisteva  l'ordine sufi dei "fratelli maggiori" fondato da N.Kubra, un maestro famoso per il suo influsso sugli animali...proprio come Francesco. Un suo detto era "La verità è ciò che riconosce ciò che è vero" e Francesco: "ognuno è quello che è agli occhi di Dio, questo è niente di più".  Due frasi che richiamano alla visione dell'unità del reale. Lo stile è inconfondibile,  tipico dello spirito sufi. Francesco rifiutò di diventare prete  e di indottrinarsi. I sufi non sono mai rimasti affascinati dalla filosofia e dalla teologia, per quanto siano stati considerati eccelsi in queste discipline, forse perchè sanno tenerle sotto i  piedi, servirsene insomma.  Dio è un vissuto universale, non è una proprietà personale da ideologizzare. Francesco, il santo cristiano (ma  non sono pochi i sufi che si sono ispirati a Gesù ) non voleva governare un  gregge, imporgli dall'alto un potere ideologico e di controllo, quale subito fin dal terzo secolo dai cristiani, ma espandere democraticamernte un movimento fedele al senso intimo del vangelo, con varie affiliazioni (i terziari) come nel sufismo dove esistono numerosi simpatizzanti e compagni. Getta via la croce spinosa che alcuni compagni usavano per mortificarsi con un senso forse simile al cerimoniale rifiuto di certi ordini sufi di ricevere una croce: non ne abbiamo bisogno poichè già ne possediamo il significato. Forse da qui nasce l'uso templare di calpestare la croce. L'abito dell'ordine , la tonaca col cappuccio e le maniche larghe è tipica dei dervisci della Spagna e del Marocco. Come il maestro sufi Attar scambia il suo abito con quello di un mendicante e tra le regole una di esse viene sempre ricordata dai sufi: non pensare alla propria salvezza, ritenuta vanità ed egoismo. Ed iniziava a predicare dicendo: "la pace di Dio sia con voi" che come tutti sanno è il classico saluto arabo. Salam Alaikum.

 

 

 

9Bpalma.gif (2680 byte)

La scienza che non serve

Dice san Paolo: La lettera porta alla morte, ma lo spirito dà la vita ( 2 Cor. 3, 6).
Sono uccisi dalla lettera coloro che si preoccupano soltanto di imparare delle parole, per essere giudicati più istruiti degli altri e per guadagnare grandi ricchezze e arricchire parenti ed amici.
Sono uccisi dalla lettera anche coloro che non si impegnano a vivere secondo lo spirito del Sacre Scritture, ma si accontentano della conoscenza esteriore delle parole per poterle spiegare agli altri.
Sono invece resi vivi dallo spirito della Parola di Dio coloro che meditano sempre più profondamente ciò che già conoscono e non attribuiscono a se stessi la propria scienza, ma con la parola e l'esempio la restituiscono al Signore, dal quale, come ogni cosa buona, proviene.

Il premio

Beato l'uomo che non parla continuamente di sé, solo per ricavarne qualche vantaggio e che non chiacchiera a vanvera, ma valuta attentamente ciò che deve dire e rispondere.
Guai all'uomo che non sa tenere segreto il bene che il Signore gli ispira e se ne vanta davanti agli altri per guadagnarci sopra, senza preoccuparsi di corrispondere con le opere buone. Costui ha già ricevuto la sua mercede in questa terra, e le sue parole contribuiscono ben poco al bene di chi le ascolta.

Francesco d'Assisi

9Bpalma.gif (2680 byte)

 

Il cantico delle creature

Francesco fu torturato nelle prigioni di Assisi dalla Santa Inquisizione poichè stava leggendo un vangelo tradotto in volgare  passatogli di nascosto da un mistico. Per diversi secoli la Chiesa impedì la traduzione in volgare del vangelo in quanto il suo contenuto poteva rappresentare un pericolo sovversivo. Egli  rifiutò di farsi prete e imitando Gesù predicò nella sua lingua nativa per farsi capire da tutti. Come si ricorderà solo dal concilio vaticano II, pochi decenni or sono, la messa viene recitata nella lingua locale. Francesco comprese che la lingua "sacra" è solo quella del cuore, solo da esso nascono parole pure.

 

Altissimu, onnipotente, bon Signore
tue so' le laude, la gloria a l'honore et onne benedictione (questa frase è presente nell'aprente del Corano )

Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare (cfr. sura 112 del Corano: egli è inconoscibile/immenzionabile)

Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature
spetialmente messor la frate sole,
lo qual' è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splenndore:
de te, Altissimo, porta significatione. (cfr. la sura della luce dove essa è simbolo divino)

Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle :
in celu l'ài formate clarite et pretïose et belle

Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le creature dài sostentamento.

Laudato si', mi' Signore, per sor' acqua,
la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robusto et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi frutti con coloriti fiori er herba.

Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
e sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale
da la quale nullu homo vivente pò skappare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovará ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no'la farà male. (così anche il finale dell'aprente: guidaci per il retto sentiero, il sentiero di chi hai favorito e non degli sviati )

Laudate mi' Signore et rengratiate
et serviateli cum grande humilitate.

 

Francesco d'Assisi

 

 

 


  http://space.tin.it/io/nventur

 

 

.