Tratto da "RAPPORTARSI CON GLI ALTRI E CON SE STESSI" di Nazzareno Venturi.  Saggio sulla psicologia transazionale, pubblicato e ormai esaurito su carta stampata dalle ed. Sufijerrahi nel 2010. Attualmente disponibile in formato ebook (leggibile su pc o si tablet) su Kindle Edition distribuito da Amazon.

EROS E TANATOS

 

Eros e thanatos, ovvero le pulsioni di vita e di morte, scandiscono la dimensione psichica e biologica di ogni essere.  Sigmund Freud le individuava nel loro esternarsi, nell'agire costruttivo o distruttivo dell'individuo.

Nel metabolismo di qualsiasi essere vivente esistono due funzioni, una anabolica che riguarda il nutrimento e l'assimilazione della materia organica ed inorganica indispensabile per il funzionamento biologico (glucidi, protidi, lipidi, sali minerali ossigeno, vitamine) ed una catabolica che riguarda l'eliminazione delle sostanze prima utilizzate: come c'è una inspirazione in cui si immette nei polmoni l'ossigeno che sarà distribuito attraverso i vasi capillari a tutte le cellule c'è una espirazione in cui viene espulsa l'anidride carbonica: ci sono cellule che nascono utilizzando i nuovi materiali ed altre che muoiono. Una alterazione di questo equilibrio significa malattia. Quando una cellula finita la sua funzione non risponde più al messaggio chimico interno ed esterno di morire, inizia una fase tumorale: affinché tutto funzioni bene i due processi metabolici devono seguire la loro ritmica alternanza,

Anche a livello mentale avvertiamo le pulsioni di vita e di morte: amiamo ed odiamo, creiamo e distruggiamo nella vita di tutti i giorni. Perfino   la lettura di un giornale comodamente seduti su una poltrona ci vede impegnati a simpatizzare con certi argomenti che ci interessano e rifiutarne un'altra parte considerata negativa e inutile, approviamo certe cose e ne disapproviamo delle altre, alcune notizie ci spronano ad impegnarci in qualche modo ed altre ci indignano. Almeno nel pensiero strutturiamo possibilità di fare e disfare certe situazioni. E' quindi un processo normale della vita psichica. Quando invece le  reazioni sono sproporzionate, inconsapevoli e inadeguate ci si trova di fronte a patologie. Durante la visione di un telegiornale, un poliziotto ormai in pensione, sboccò davanti a tutti con queste parole: Sono tutti dei criminali, se ci fossi io li farei filare come dei treni ! Già lo stereotipo del “tutti” senza fare le dovute distinzioni indica che non è certo un’affermazione adulta e responsabile.  La condanna degli altri  (sentimenti distruttivi)  ed il mettersi come sommi giustizieri significa paranoia. Viceversa l’atteggiamento io non sono O.K. / gli altri sono O.K. significa alimentare sentimenti autodistruttivi. Quando i sentimenti negativi riguardano sia il sé, sia l'altro, è evidente la sintomatologia schizofrenica: esclusa la base relazionale l'individuo perde i contatti con la realtà e li sostituisce con la fantasia, da cui allucinazioni visive ed uditive, deliri intesi come costruzioni di situazioni immaginarie senza alcun riferimento con la realtà. Nell'atteggiamento transazionale positivo, l'io sono O.K. /  tu sei O.K. , le pulsioni di morte sono convogliate all'interno della costruzione del pensiero e dell'azione conseguente nel cercare di eliminare, in modi adeguati, gli ostacoli che impediscono i giusti rapporti esistenziali. I pensieri negativi vengono corretti e ciò implica un disfare,  per rifare qualcosa di nuovo e così ritrovare l'equilibrio dell'istante.

La  simmetria ha dunque una importanza fondamentale anche nei processi biologici e psicologici, la sua alterazione è sintomatica delle varie affezioni.  Per esempio il cervello di una persona affetta da schizofrenia non ha i ventricoli simmetrici. ( Ciò è originato assai probabilmente nel momento in cui  nella fase evolutiva del feto i neuroni migrano nelle zone specifiche del cervello per poi specializzarsi nelle varie funzioni. Si parla dunque di situazioni genetiche che comunque interagiscono e interagiranno con fatti ambientali  a cominciare dal ventre materno. Se non c'è questa componente genetica le depressioni e le psicosi sono ovviamente più facilmente reversibili ) .  Il discorso si allarga a livello psicosomatico. Gustav Jung dopo aver passato il suo tunnel in stati psicotici, sentiva il bisogno di dedicarsi all'arte dei mandala dove le costruzioni geometriche stanno in perfette simmetrie, quasi in un bisogno organico di ristabilirle in sé. La vita ha bisogno di armonia e la morte non sta in antagonismo ad essa ma nei suoi stessi equilibri. La natura tutta è uno spettacolo che indica come lo svolgersi di vita e di morte mantiene la continuità dell’insieme.

SFIDARE LA MORTE

Molti di voi si ricorderanno quella moda giovanile diffusasi negli USA di stendersi sulle corsie delle strade. Non so quanti decessi abbia causato. Tutto era nato per emulazione di una scena di un film  e dava l'insana ebbrezza di sfidare la morte. Conoscerete anche  il folle rito della roulette russa: una pistola con un solo proiettile nel tamburo, a turno i partecipanti rullano quest'ultimo e si puntano la canna alla tempia premendo il grilletto. Anche diversi sport estremi fanno leva sull'elevato rischio di morte: dallo scalare le rocce senza la sicurezza delle funi  al tuffarsi dall'alto nel momento che l'onda si alza e copre il fondale. Altri esempi : le corse in macchina dei giovani del sabato sera, pagare  un “extra” alle  prostitute per avere rapporti non protetti ...

Tutto questo amore del “rischio” ha diverse motivazioni. Avere la morte vicina aumenta la sensazione della vita in modo euforico, prendersi gioco della morte fa crescere in   menti comunque alterate, l'autostima. L' “etno-psichiatria” ci può spiegare che negli antichi riti di iniziazione l'uomo doveva dar prova  di forza e coraggio per essere ammesso come adulto nel clan. Siamo però sempre dentro o al “limite” di comportamenti patologici.

Ci vuole spesso più coraggio nell'affrontare gli impegni quotidiani e la propria stessa psiche che esibirsi in queste "prove",  che sono, spesso, fughe dall'ammissione della propria inadeguatezza nei confronti della realtà: questa è da affrontare.

Certo è che l'uomo sente la morte come una realtà potente ed invincibile. In un bel film di Ingrid Bergman, “Il settimo sigillo”, il protagonista, un cavaliere medievale incontra appunto La Morte: essa è raffigurata come vuole l'iconografia classica, con il lungo nero mantello, che lascia intravedere il bianco teschio, e la falce in pugno. Il cavaliere su una desolata spiaggia ( ...ai confini della vita) propone alla morte di giocare se stesso in una partita a scacchi (...il bianco e il nero, la vita e la sua assenza, il bene ed il male...). Ogni mossa è una vicenda che porta il cavaliere alla consapevolezza, nonostante alla fine subisca “scacco matto” dalla morte,  imbattibile nel suo campo. Quella morte invincibile che Brugel raffigurava nel  pescare gli uomini intenti in questa vita   a cercar sicurezza e felicità nei soldi e nella vanità del potere. E davanti a lei non c'è ricco o povero, né bello o brutto, né forte o debole: la morte è una livella, diceva Totò, tutti sono uguali davanti a lei, tutti ricomposti sullo stesso piano.

C’è comunque bisogno della morte per prendere consapevolezza della vita. Certamente ogni lutto può mettere in difficoltà la persona a cui viene a mancare un sostegno affettivo più o meno intenso, è una parte di se che se ne va, ma risanata la ferita ad ogni vuoto che si crea una nuova realtà riempirà l’evoluzione della propria esistenza. Dal contrasto risaltano i valori. L’importanza della vita viene data dalla sua mancanza. Il nostro io bambino davanti a essa ha solo paura o vuole sfidarla ed esorcizzarla in qualche modo, ma poiché è un fatto, qualcosa su cui bisogna per forza fare i conti, è l’io adulto che deve riflettere su di essa, porsi in un atteggiamento ragionevole e costruttivo per poterla accettare e sublimare. Certe esistenze si trasformano dopo aver rischiato di morire, incidenti o malattie. La morte ha fatto da stimolo per un recupero di significati e di valori, la vita rinasce più forte.

Del resto a ben vedere l’uomo è l’unico essere su questo pianeta che pianifica oltre la propria singola esistenza, mentre per il resto degli animali, pur dotati di intelligenza ed affettività come tutti i mammiferi, è il solo istinto riproduttivo a programmare il mantenimento della specie. L’uomo ha una “genitorialità” consapevole, Tutte le istituzioni e le leggi, le tradizioni, le religioni, con difetti e virtù. sorpassano il singolo e gli permettono di avere un senso di continuità. L’io genitore non si limita ad accudire la prole ma ad inserire il figlio in questo mondo culturale di segni e simboli in cui presto si identificherà. Esso è così forte da poter superare l’istinto di sopravvivenza e la ragione. Quanti sono morti felici in nome della patria e della religione senza nemmeno domandarsi perché combattevano! In questi casi, purtroppo numerosi, l’io genitore inglobava l’io adulto e l’io bambino , non permetteva all’uno di ragionare e all’altro di affermare la legittima voglia di vivere. Ben diversa è la fede, intesa come originaria pulsione umana ancora libera da credenze codificate. In essa c’è la percezione di una realtà divina, di un significato del mondo e della vita che assimila la morte come un momento della vita, san Francesco la chiamava sorella. Ecco come l’io adulto può integrare la morte in se stesso ed evitare che diventi motivo di  depressione (o di esaltazione per chi la sfida anche nel terribile gioco della guerra.)  Insomma… la morte non è un giocattolo da lasciare ai bambini.

  

dott.prof. Nazzareno Venturi (2005)

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(ogni trascrizione completa o parziale dei saggi presenti sul caravanserraglio, essendo provenienti da pubblicazioni copyright, può essere fatta solo tramite autorizzazione )


 

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